sabato 15 giugno 2013

Chiusura delle ostilità

Sulla scia della mia forte passione per la Storia in tutte le sue sfaccettature, ma con particolar interesse riservato alle battaglie, ho deciso di esplorare il secolare, se non addirittura millenario, tema dell'interconnessione tra esigenze strategiche e tecnologia. Conscio del fatto che una trattazione esaustiva avrebbe richiesto ben più di un semestre e di un singolo blog, mi sono imposto di limitare, dove possibile, l'ambito di indagine alla Prima Guerra Mondiale, in quanto rappresentativa dello spirito di innovazione (non sempre a fini di progresso pacifico, purtroppo) caratterizzante il XX secolo. Ecco in breve il riassunto del mio percorso di analisi, dotato di link ai singoli post:


Dopo una breve premessa, volta più che altro a servire da benvenuto a chiunque visiti il blog, oltre che ad introdurre l'opera di narrativa cui farò riferimento in seguito, esordisco con una riflessione scaturita dalla prima lezione del corso di Storia della Tecnologia: evoluzione umana e sviluppo tecnologico procedono di pari passo e risentono all'unisono delle scelte morali compiute da ogni singolo individuo, per l'occasione raffigurato metaforicamente dalla scimmia con la quale Kubrick inaugura il suo "2001: Odissea nello Spazio". Si entra quindi nel vivo dell'argomento, con il riassunto della Prima Guerra Mondiale sotto forma di abbecedario, dalla A di Aviazione fino alla Z di Zar. Il post, corredato da un'immagine e una descrizione-lampo per ciascuna lettera, si sofferma ovviamente sugli aspetti strategici, senza disdegnare tuttavia l'ambito puramente storico. Segue un approfondimento sull'atmosfera di fondo del libro-guida, tra la vita di trincea e le innovazioni tecnologiche in gioco, a cui allego il link all'ebook corrispondente. La parentesi sul brevetto n°6469 è frutto della visione di un documentario dedicato ai retroscena della vita di Abramo Lincoln, sedicesimo presidente degli Stati Uniti: oltre che risultare impacciato con le donne e dimostrare inclinazione alle scazzottate nei pub, egli si fa notare anche per le sue invenzioni, tra cui quella di un sistema di galleggiamento d'emergenza. Decido poi di abbandonare momentaneamente il mondo occidentale per spaziare fino al Lontano Oriente di Qin Shihuang e dell'esercito di terracotta posto a guardia delle sue spoglie mortali. Ritornando quindi sui campi di battaglia del Vecchio Continente, presento una carrellata di istantanee dal set di "War Horse", il film che inquadra gli ultimi episodi di sconsiderato eroismo vissuti dalla cavalleria, ormai inadeguata di fronte al fuoco delle armi automatiche, come sottolineato dal video della carica del reggimento inglese che ne uscirà decimato. Un parallelo tra gli assedi medievali e la guerra di logoramento diventa protagonista nel post "Una guerra senza sconti", con particolare riguardo alle implicazioni finanziare. Dal materialismo dei costi bellici si passa invece ad una dimensione decisamente più elevata, quella dei War Poets, i poeti improvvisati che catturano la quotidianità della vita di trincea trasformandola in fonte d'ispirazione per sonetti abbozzati tra un assalto e l'altro. Assalti che spesso vengono condotti senza un minimo di scrupolo da ufficiali pronti a tutto per conservare i propri galloni, come nel caso della scena di "Uomini contro" dove compaiono le corazze Farina, difese personali metalliche che rivelano fin da subito la loro inefficacia nel ridurre la capacità di penetrazione dei proiettili nemici. Una cartina geografica dell'Europa del 1914 fissa invece una situazione territoriale che di li ad appena un lustro subirà uno sconvolgimento non indifferente. A dimostrazione che la Strategia Militare sia una campo d'indagine antichissimo, ecco la testimonianza del "Sun-Tsu", che dal bambù ricorda le tecniche in uso nella Cina pre-unificazione. E' quindi la volta di una lunga ed approfondita rassegna che ripercorre l'epopea del carro armato, dalla sua versione medievale fino alla potenza di fuoco dell'Abrahms in forza ai Marines, senza dimenticare i progetti di Leonardo e naturalmente la sua comparsa nella Terra di Nessuno tra le trincee, dove  tuttavia mieteva meno vittime di un'arma decisamente più letale, il gas, in uno degli esempi storicamente più significativi e al tempo stesso crudeli di Guerra Chimica.  Due video in sequenza illustrano quindi, rispettivamente, il casus belli alla base dello scoppio della Prima Guerra Mondiale (insieme a qualche anticipazione sull'introduzione dell'aereo e di altre tecnologie) e i modelli di blindato che ciascuna potenza decide di schierare prima del 1918. Non viene dimenticato nemmeno l'ambito sanitario, grazie ad una descrizione delle pratiche in uso negli ospedali da campo. L'aeronautica è rappresentata tanto dalla storia del dirigibile quanto da uno spezzone del film "Giovani Aquile", due post separati da una riflessione nella mia seconda lingua, il Francese, che funge da introduzione per l'articolo "Guerre" dell'Encyclopédie di Diderot e D'Alembert, in quel periodo argomento di discussione in classe. Tornando coi piedi per terra, l'atmosfera si scalda a causa del lanciafiamme, per poi rilassarsi nuovamente nel momento in cui individuo tre fumetti "bellici". Un paio di citazioni, attribuite a Napoleone e Yeltsin, aprono la strada all'evoluzione nei secoli della baionetta, mentre alcuni brani musicali di successo compongono il post successivo che si focalizza sul rapporto tra musica e guerra. Se tuttavia i cantautori prediligono di norma posizioni pacifiste, lo stesso non si può certo dire per i Futuristi di inizio secolo, che vedono nella Grande Guerra "l'igiene dei popoli". Una manciata di francobolli, tra cui spiccano alcuni originali emessi proprio mentre al fronte impazzava il conflitto, chiude la sequenza di post dedicati agli articoli collaterali. Leonardo da Vinci viene quindi eletto testimonial del blog in nome del suo genio spesso prestato alla guerra. Occhio poi a non pungersi con il brevetto del filo spinato, che anticipa il brano tratto da "Terramatta" in relazione al documentario visionato durante il corso, in cui trovano spazio le parole stentate di un semianalfabeta che s'inventa un diario autobiografico dal grande coinvolgimento emotivo. Gli archivi RAI offrono in seguito un approfondimento sulla tecnologia della Grande Guerra, in cui interviene tra gli altri, in qualità di consulente, il Professor Vittorio Marchis del Politecnico di Torino. Per gli amanti delle cronologie, eccone poi una in lingua inglese, ricca di illustrazioni personalmente ricercate in lungo e in largo sul web, capace di far rivivere la Storia delle Armi a partire dalla Preistoria fino ai laser e al condizionamento psicologico. L'articolo che segue sembra invece contraddire il percorso di continuo perfezionamento appena illustrato, in quanto pone l'accento sulle mazze ferrate usate come arma da combattimento corpo a corpo in trincea. Come protagonista indiscusso del conflitto viene dunque scelto Manfred Von Richtofen, altrimenti noto col soprannome di "Barone Rosso", capace di spuntarla in decine di duelli aerei prima dell'abbattimento a pochi mesi dal termine della guerra. La rivista Focus regala un'intervista sul tema della strategia ad uno scrittore di fama internazionale, Alessandro Barbero, più volte invitato negli studi di Superquark nel ruolo di opinionista storico. Un nuovo angolo dedicato alla poesia ospita componimenti a sfondo bellico di Apollinaire, Brecht e Quasimodo, mentre l'arte continua a dire la sua con il mistero dell'affresco perduto di Leonardo nel Salone dei Cinquecento a Firenze. In tema di ricorrenze, spicca il resoconto dello Sbarco in Normandia del 6 giugno, seguito a quattro giorni di distanza dall'impresa del sottomarino italiano MAS 15 nei confronti della marina austroungarica. L'apporto decisivo delle armi automatiche al sorgere della Guerra Moderna è fotografato dal post dedicato alla mitragliatrice. La nascita dell'Aviazione Italiana trova fondamento nella testimonianza di Giulio Douhet, mentre un lungo articolo provvede a descrivere l'unica arma ancora mancante all'appello, ovvero la granata.  Gli Arditi incarnano invece la capacità dell'uomo di ovviare all'arretratezza strategica grazie al proprio coraggio e spirito di sacrificio. In chiusura, l'Europa dai confini profondamente riscritti campeggia su una cartina che sarà destinata a venire nuovamente cestinata nel giro di appena un ventennio, con la Seconda Guerra Mondiale.

Che dire, un'esperienza sicuramente costruttiva e in certi frangenti perfino ad alto tasso emotivo, che auguro risulti altrettanto piacevole a chiunque metta piede in questo blog. A presto e grazie a tutti per l'attenzione!

Luca Distasi

Il nuovo Vecchio Continente




Corpi d'Elite: gli Arditi italiani

Il canto degli Arditi



Mamma non piangere se c'è l'avanzata,
tuo figlio è forte dall'alto dei cuor
asciuga il pianto della fidanzata,
chè nell'assalto si vince o si muor.


Avanti Ardito, le Fiamme Nere

son come simbolo delle tue schiere
scavalca i monti, divora il piano
pugnal fra i denti, le bombe a mano.




Fiamme Nere avanguardia di morte,
siam vessillo di lotta e di orror,
siamo l'orgoglio trasformato in coorte,
per difender d'Italia l'onor.


Avanti Ardito, le Fiamme Nere.....


Una stella ci guida, la sorte,
e ci avvincon tre fiamme d'amor,
tre parole di fede e di morte:
il pugnale, la bomba ed il cuor



Avanti Ardito, le Fiamme Nere.....


L'ardito è bello, l'ardito è forte!
ama le donne, beve il buon vin;
per le sue fiamma color di morte
trema il nemico quando è vicin!


Avanti Ardito, le Fiamme Nere.....


Quante volte fra tenebre folte,
nella notte estraemmo il pugnal
fra trincee e difese sconvolte
dalla mischia cruenta e fatal!


Avanti Ardito, le Fiamme Nere.....





martedì 11 giugno 2013

Tutti a terra!!!- La granata

Dopo l'invenzione della polvere nera e la sua applicazione alle armi, attorno al XV secolo, ogni esercito cercò di dotare i propri soldati di ordigni esplosivi che potessero essere agevolmente gettati a mano contro il nemico; i primi esemplari, rudimentali, erano in terracotta, legno ed ottone, caricati con polvere pirica e pallette di piombo, di ferro o pezzi di vetro. La tipica "granata", nome in uso fino al XIX secolo, poi soppiantata in Italia dal termine "bomba a mano", si diffuse a partire dalla fine del Cinquecento: era una sfera di ghisa pesante quasi due chili, caricata con circa 200 grammi di polvere nera e provvista di una miccia. Ordigni di questo tipo furono impiegati con alterne fortune, legate al mutare delle tattiche di guerra, fino all'Ottocento, quando riapparvero in discreto numero durante la Guerra di Secessione Americana.




All'inizio del Primo Conflitto Mondiale, anche in fatto di granate e ordigni esplosivi da lancio, la Germania si rivelò più avanzata delle altre potenze internazionali – nel 1914 poteva già disporre di circa 70.000 pezzi, affiancati da 106.000 appositamente realizzati per essere innestati e lanciati con il fucile.
Contrariamente a quanto si pensa ai giorni nostri, l’arma impiegata maggiormente per gli assalti alle trincee era proprio la granata o la bomba a mano, e non la baionetta o il fucile. Questi ultimi servivano quasi esclusivamente a proteggere i granatieri, almeno nelle prime fasi dell’attacco.
In seguito all'introduzione dei suddetti ordigni da lancio, vennero subito costituite pattuglie di “granatieri” e gruppi di truppe addestrate proprio al lancio di ordigni esplosivi, che costituirono un’importante e insostituibile parte dell’esercito di ciascuna nazione partecipante al conflitto.
Gli inglesi, ad esempio, impiegavano solitamente squadre di nove soldati ognuna: un ufficiale comandante, due lanciatori, due porta-granate, due fanti con baionetta innestata per difendere i precedenti e due riserve per sostituire eventuali caduti. Subito dopo un attacco, i granatieri erano soliti “ripulire” gli angusti e tortuosi labirinti di una trincea, con una notevole quantità di ordigni esplosivi da lancio: ciò si rivelava particolarmente utile per snidare e convincere alla resa eventuali superstiti che avevano trovato rifugio nelle “ridotte” o nelle piccole caverne e ricoveri collegati ai camminamenti.
All'inizio del Primo Conflitto Mondiale la Gran Bretagna, così come la maggior parte delle nazioni belligeranti, non confidava particolarmente nell'utilizzo delle bombe a mano: presto si dovette ricredere anche per quanto riguardava l’impiego delle nuove mitragliatrici.
Dopo circa un anno di guerra, la produzione di granate inglesi toccò le 250.000 unità confezionate settimanalmente! Fino ad allora i “Tommies” inglesi cercano di far fronte alla limitata produzione improvvisando granate artigianali, realizzate impiegando le lattine di marmellata di prugne e della terribile carne “Maconochie” che faceva parte delle razioni di cibo standard. Tale espediente continuò tuttavia fino al termine del 1916, su tutti i fronti internazionali ove le truppe inglesi si trovarono a combattere: evidentemente la produzione industriale di granate avrebbe dovuto continuare a crescere in modo esponenziale.


Qualsiasi granata, sia da lancio a mano o con il fucile, poteva esplodere in due modi differenti: in seguito all'impatto (percussione) o con una miccia temporizzata. I soldati preferivano quest’ultimo tipo, soprattutto per evitare il terribile rischio di detonazione involontaria in seguito a qualsiasi tipo di impatto.
Dopo i primi tentativi con una rudimentale miccia (da accendere proprio come quella di un normale candelotto di dinamite), si preferì dotare le granate di una spoletta. Altri due tipi di granate potevano essere innescati staccandone l’impugnatura o sfregandole contro una superficie ruvida, proprio come un accendino (la “Cricket Ball” inglese).
Lo sviluppo industriale In concomitanza con la produzione industriale di ordigni da lancio si mosse inarrestabilmente la sperimentazione bellica, vissuta perlopiù sul campo che in laboratorio. Per esempio, mentre le granate da lancio con il fucile vennero quasi subito abbandonate dall'esercito tedesco, i francesi e i britannici riuscirono a svilupparne una versione finalmente affidabile e capace di una gittata di ben 400 metri. Le “Cup Grenades” furono, verso la fine della guerra, riscoperte dalla Germania Guglielmina che riuscì evidentemente a copiare l’alto livello tecnologico delle produzioni avversarie.
Nel 1915, dopo varie sperimentazioni, la B.E.F. fu dotata di un gran numero di granate “Mills”, che divennero ben presto parte integrante dell’armamento di ogni soldato inglese. Create da William Mills, questo tipo di bomba a mano divenne subito popolarissima, grazie alla sua affidabilità e potenza d’offesa. Si trattava infatti del primo tipo di granata a frammentazione, che al momento dell’esplosione era strutturata per sbriciolarsi in una miriade di scheggie-proiettile, proprio come un mini-shrapnel. Al momento del lancio, il soldato rilasciava bomba e levetta di sicurezza (dopo aver rimosso la sicura) e quest’ultima attivava il detonatore tarato per 4 secondi.
Ben presto la Mills Bomb venne dotata anche di un rivestimento impermeabile, per garantirne efficacia e conservazione in qualsiasi situazione atmosferica.
A causa della sua forma sferica e pertanto poco pratica per le attillate uniformi inglesi, si rese necessario trasportarla addirittura con secchi e contenitori improvvisati, al seguito delle truppe attaccanti. Da qui probabilmente l’origine dell’espressione inglese “To mop up” (letteralmente:”lavare il pavimento”), impiegata per descrivere il compito delle ultime ondate di fanti all'attacco, incaricati proprio di “ripulire” le trincee conquistate a colpi di granata. Contenitori improvvisati e fucili venivano probabilmente e metaforicamente associati a secchi e spazzoloni! L’inconveniente relativo al trasporto degli ordigni fu brillantemente evitato dai soldati australiani e neozelandesi che, grazie alle divise più comode e dotate di tasche particolarmente capienti, riuscivano ad andare all'attacco con almeno una decina di granate senza bisogno di ingombranti contenitori.
Per gli amanti delle statistiche, risulta ufficialmente che gli inglesi lanciarono qualcosa come 70 milioni di granate Mills e 35 milioni di ordigni da lancio di altro tipo, durante il corso della Grande Guerra.



Le più famose bombe a mano tedesche risultarono: le Stielhandgranate (le tradizionali granate con l’impugnatura a bastoncino), le Diskushandgranate (granate a forma piatta), le Eierhandgranate (senza impugnatura) e le Kugelhandgranate (a forma sferica - spesso soprannominate “ananas” dagli inglesi, nella loro versione ovoidale). Anche i soldati tedeschi si liberarono molto presto dei pericolosi modelli con deflagrazione ad impatto e furono spesso dotati di bombe a mano con detonatore tarato su soli due secondi: ciò non dava scampo all'avversario, nel momento in cui vedeva pioversi addosso una granata tedesca.
La più popolare granata tedesca rimase sempre quella dotata di bastoncino da lancio e tarata su 5.5 o 7 secondi. Queste bombe a mano venivano spesso portate al collo, all'interno di speciali contenitori di juta. I tedeschi si munirono infine anche di granate caricate con gas e liquidi velenosi, rilasciati al momento della deflagrazione.


Una curiosità: sulle alture di Pozieres, sul Fronte Occidentale, nella notte del 26-27 luglio 1916 si combatté la più terribile battaglia a colpi di granate della Grande Guerra. Senza un attimo di sosta, australiani e inglesi lanciarono qualcosa come 30.000 bombe a mano fino all'alba.
Nella Seconda Guerra Mondiale queste bombe ebbero ancora più ampio uso, affiancate da modelli più moderni o di nuovo impiego, come quelle anticarro e fumogene. Fabbricate con nuovi materiali, le bombe a mano di oggi sono più leggere (alcuni modelli pesano poco più di mezzo chilo) e di dimensioni ridotte, tanto da stare nel palmo di una mano, ma soprattutto sono più sicure. Fanno ancora parte integrante delle dotazioni del singolo militare, o, come nel caso di quelle lacrimogene o stordenti (flashbang), delle forze di polizia.


 

lunedì 10 giugno 2013

Ricorrenze: l'Impresa di Premuda







Intorno a questa battaglia è stato perfino sviluppato un gioco tavola ad opera del sito www.milesgloriosus.net, che potete trovare di seguito, con tanto di segnalini da ritagliare per simulare, al sicuro dal violenza della Grande Guerra, gli scontri delle prime ore del 10 giugno 1918; contrariamente a quanto tramandato dalla Storia, qui il successo dell'operazione rimane nelle mani della Sorte, che governa il tiro dei dadi, e dall'abilità dei due contendenti. La vittoria dell'Italia non è altrettanto scontata.. 






Infine, un video celebrativo dal sapore patriottico, forse con una punta di nostalgia "nazionalista", ma pur sempre significativo per la presenza di una cronaca della battaglia affiancata da scatti d'epoca:

venerdì 7 giugno 2013

Riflessioni a diecimila piedi di altezza





Uno stralcio de "La difesa nazionale-anno 1923", saggio pubblicato da da Giulio Douhet, fondatore dell'Aeronautica Militare Italiana:

"E’ necessario armare ed istruire l' Armata aerea con criterii definiti e precisi, rispondenti a sani principii di una vera e propria arte che possiamo denominare: Arte della guerra aerea.
Nel 1910 scrivevamo : La guerra aerea coinvolge, oltre alla risoluzione del problema tecnico del mezzo adatto, la risoluzione di una grande quantità di problemi di preparazione, organamento, impiego, ecc. delle forze aeree, e cioè richiede la creazione, ex novo, di una terza branca dell' Arte della guerra, quella appunto che potrà definirsi: " l ' Arte della guerra aerea ".
L'ora, che attraversiamo, segna un momento storico di una importanza eccezionale; sta svolgendosi un nuovo fenomeno nella storia dell'umanità. A noi sarebbe impossibile determinare con precisione quando incominciò la lotta sulla terra e quella sul mare; ai posteri l 'inizio della guerra aerea sarà perfettamente e chiaramente definito; e noi a questo inizio avremo assistito ed a questo inizio avremo cooperato. E sarebbe davvero curioso che non ce ne fossimo neppure accorti.
Il fatto curioso si verificò: non ce ne accorgemmo. Oggi, tuttavia, la cosa salta agli occhi anche dei ciechi. L'arte della guerra aerea deve essere creata: non è più possibile, quando per costituirsi una forza aerea, la Nazione spende centinaia di milioni, e quando la guerra aerea sta per assumere una importanza di primo ordine, procedere ancora per tentativi, empiricamente.
La preparazione, l'organizzazione e l'impiego dell' Armata aerea dipendono dal come si svolgerà la guerra aerea, perchè preparazione, organizzazione ed impiego debbono essere adattati alla forma ed ai caratteri della guerra stessa : l'utensile deve essere forgiato adatto allo scopo.
Poichè ci si trova dinanzi ad un fatto completamente nuovo, senza precedenti, e che avrà il suo svolgimento in un tempo a venire più o meno lontano, il prevedere come si svolgerà la guerra aerea è arduo. Noi, al riguardo, avendo riconosciuto, fino dal 1910, la necessità della creazione dell ' Arte della guerra aerea, ci siamo andati formando delle idee nette e precise. Tuttavia non abbiamo affatto la pretesa di presentare le nostre idee come dogmi, per quanto le riteniamo giuste e, come tali, le sosteniamo in attesa di prove in contrario.
Affermiamo però che la definizione più probabilmente esatta del come si svolgerà la guerra aerea non può sortire che da una discussione, nella quale le idee e gli argomenti a loro sostegno possano venire a contrasto. Ora a noi non sembra che una simile discussione, in Italia, sia mai stata fatta: gli unici che abbiano affrontato il problema siamo stati noi ne "Il dominio dell' aria", che non ha dato luogo a dibattiti di qualche importanza. E’ grave la responsabilità che si assume chi giudica e decide, perché un errore di apprezzamento sul come si svolgerà la guerra aerea si riflette su tutta la preparazione, l'organizzazione e l'impiego dell' Armata aerea, e può renderla inadatta al suo scopo.
La guerra aerea, per quanto si svolga in un campo a parte, non può sfuggire ai principi fondamentali che reggono la guerra in generale, e, poiché il suo campo tocca la terra ed il mare, deve necessariamente riflettersi e ricevere riflessi dalla guerra terrestre e marittima.
Perciò, nella discussione intesa a determinare come si svolgerà la guerra aerea, non solo possono, ma debbono intervenire anche tecnici della guerra terrestre e marittima e, come ci appare strano che l 'Esercito e la Marina possano stabilire i loro ordinamenti facendo astrazione da quanto, in una eventuale futura guerra, potrà avvenire nel cielo che li sovrasta, così ci appare strano che l'Armata aerea possa fare astrazione dalla terra e dal mare che è destinata a sorvolare.
La guerra è un fenomeno complesso nel quale entrano in giuoco una quantità di fattori, nessuno dei quali può essere considerato a sé, prima di averne definito i rapporti con tutti gli altri, sotto pena di turbare l'armonia dell'insieme. Né è a dirsi che per discutere su ciò che sarà la guerra aerea occorra un tecnicismo particolare e specializzato nessuno vede più corto dei tecnici specializzati è sufficiente possedere la conoscenza delle caratteristiche essenziali dell'arma aerea, conoscenza che, ormai, costituisce capitolo di pura e semplice coltura generale.
Noi, senza arrossire, confessiamo che nel 1910, allorché cominciammo a pubblicare le nostre prime note aeronautiche, nelle quali si trovano tutte le idee che poi si fecero strada, e che si faranno strada, non avevamo mai veduto un aeroplano. Per queste considerazioni, noi, che pura da lungo tempo ci occupiamo del problema e possediamo idee nette e precise al riguardo, abbiamo sempre sostenuto che occorreva, in un primo periodo preparatorio, costituire una specie di Stato Maggiore Aereo, chiamandovi a farne parte ufficiali sia dell 'Esercito che della Marina, competenti nella pratica e nelle discipline aeronautiche, familiari della guerra in generale, aperti alle nuove idee, guardanti verso l'avvenire, senza preconcetti; Stato Maggiore che avrebbe dovuto porsi il problema e risolverlo, creando la nuova Arte della guerra aerea e definendo l'organizzazione e l'impiego dell'Arma aerea, servendosi, diremmo quasi come di laboratorio sperimentale, di un primo nucleo di unità aeree. Nè questo periodo di incubazione avrebbe potuto nuocere perché , dato lo stato di fatto attuale, qualunque cosa si faccia, occorrerà pur sempre qualche tempo per far passare l'Armata Aerea dallo stato di espressione a quello di realtà. 
Forse, invece, il periodo di incubazione avrebbe permesso di costruire su basi più solide e sicure. Organizzare è quasi creare perché significa costituire una entità disponendo di cellule. Il valore dell'entità organizzata dipende in parte da quello delle cellule, ma essenzialmente dalla organizzazione delle medesime.
Mille uomini armati di fucile non costituiscono un battaglione, come mille aeroplani non costituiscono una Armata aerea. Coll 'identico bilancio si possono mantenere in efficenza mille aeroplani, oppure si può costituire una Armata Aerea di mille aeroplani; si può cioè, collo stesso bilancio, ottenere una parvenza od una realtà di potenza aerea, nonchè tutte le gradazioni di potenza che vanno dalla parvenza alla realtà, a seconda del fattore organizzativo che si fa entrare nel giuoco.
Dato l'altissimo valore di questo fattore, è necessario stabilirlo con criterii scientifici, il più che possibile sicuri. Definito come si svolgerà la guerra aerea, occorre definire, nelle loro linee generali, la forma e la costituzione dell' istrumento più adatto ad affrontarla, scendendo poi man mano a definire i particolari di costruzione delle sue varie parti e dei collegamenti fra le parti stesse, sino alle cellule fondamentali, le quali sono appunto date dai singoli apparecchi. Perché, nel caso dell' Armata Aerea, ci si trova nelle felici condizioni di potere scegliere le cellule primordiali fra le multiformi a disposizione. Ma questa felice condizione impone, a sua volta, di assoggettare alla organizzazione ed all 'impiego il tipo degli apparecchi.
Fino a poco tempo fa si commise l'errore di seguire il metodo opposto. I tecnici costruttori si sbizzarrivano nella costruzione degli apparecchi, cercando fare del nuovo, poi gli apparecchi nuovi venivano consegnati a coloro che dovevano impiegarli perché li impiegassero come potevano. Ciò è semplicemente assurdo, perché è chi impiega l'arma l'unico competente a definire ciò che vuole dalla sua arma.
Non è l' armaiuolo che impone il fucile al cacciatore, ma è il cacciatore che sceglie il fucile che più gli conviene: Questo assurdo dipese, dal fatto che non vi fu mai una idea chiara e precisa di ciò che dall'aviazione si voleva ottenere. Ma questa idea ora c'è; e perciò, è chi organizza che deve imporre ai tecnici costruttori il soddisfa cimento delle sue necessità ed indicare ai medesimi i suoi desiderata per l'avvenire. Ciò sarà utile anche ai tecnici costruttori i quali, finalmente, potranno avere un' indirizzo preciso sul quale orientare i proprii studii ed i propri lavori.
La guerra aerea, impiegando armi delicatissime, provviste di grande velocità e di ampio raggio d'azione, capaci di esercitare azioni offensive efficacissime materialmente e moralmente, presenta gravissime difficoltà, d'ogni genere, sia nella sua preparazione che nella sua attuazione, difficoltà certo più gravi di quelle che presentano la guerra terrestre e quella marittima. Queste possono dare il tempo di riparare ad eventuali, deficienze od errori - la grande guerra ne fornisce un esempio classico - quelle no. Bisogna essere preparati a combatterla bene.
Si tratta di tutto un nuovo mondo da creare, partendo dal caos. Occorre stabilire ed applicare i principii fondamentali ,dell'organica, della logistica, della strategia e della tattica aerea, perché non si tratta più, di corrispondere a vaghi servizi aerei, si tratta di dare corpo ed anima ad una vera e propria Armata aerea, costituendone un organismo vitale ed idoneo, quale deve essere l'alato presidio della Nazione.
Il periodo di transizione - passaggio dalla antica e tradizionale forma della guerra alla nuova - rende ancora più arduo il problema, perché tutte le Nazioni cercheranno di risolverlo nel miglior modo possibile, evitando di far conoscere alle altre il risultato dei proprii studii, ed un enorme vantaggio, sulle competitrici, avranno quelle Nazioni che meglio lo risolveranno, perché sarà loro concesso di sorprendere l'avversario. Ed, in fine, trattandosi di avviarsi su di una strada nuova, sulla quale si dovrà percorrere un lungo cammino, è prudente mettere dalla propria tutte le probabilità di imboccare quella giusta, ché ogni ritorno al punto di partenza determinerebbe una crisi.